La cosa che oggi, in questi tempi cupi, mi turba di più, però, non è la solitudine come concetto astratto o come ispirazione di grandi movimenti artistici e poetici che hanno sondato ogni piega della presunta incapacità di comprendersi l’uno con l’altro. Anche perché devo dire che la mia esperienza ad oggi è, sotto quest’aspetto, sostanzialmente positiva: il destino mi ha regalato il dono di incontrare persone, amici, parenti che puntualmente intervengono, anche inconsapevolmente, a colmare una sorta di horror vacui che talvolta mi attanaglia e mi lascia come disperso nelle mie riflessioni ed emozioni.
La chiusura forzata in casa, con l’uomo o la donna o i figli con cui non vi è più reale dialogo, deve essere qualcosa di devastante, come può esserlo solo il metterci davanti agli occhi ogni secondo della giornata la disperazione di vite che hanno perso un senso, il piacere di essere vissute e godute nel profondo. La fuga può essere criticabile quanto si vuole, ma in certe situazioni è l’unica terapia e balsamo dell’anima. A questa solitudine nelle famiglie, si somma quella nello Stato.
Io sono in realtà un privilegiato per condizione economica e sociale. Eppure, persino io sento talvolta un senso profondo di smarrimento e di abbandono e di profonda frustrazione nel vedere, senza poter fare alcunché, i figli senza scuola reale, amici e sport, e i genitori anziani privati persino della possibilità di coltivare quelle poche relazioni che la senilità pure consente.
Tempo possibile e tempo impossibile