di Paola Laudadio
La metrica del suono dei miei stivali sul pavimento fu il primo fusello da muovere per Sergio.
Mi aspettava seduto sulla poltrona di pelle con i braccioli sciupati dalle carezze continue delle sue mani.
La finestra era sempre aperta e un carretto di legno traboccava di fiori, tante piante sparse sul pavimento e tutte rigorosamente in fiore.
Il profumo dolciastro si mescolava alla nube opaca di tabacco delle innumerevoli sigarette, a volte due in contemporanea. Ci addentravamo a esplorare il mio mondo interiore e il fumo ci aiutava ad affrontarlo.
Fumavo e parlavo, lasciavamo le sigarette accese nei posacenere a consumarsi velocemente insieme al tempo e all'aria che diventava irrespirabile.
"Paola, che passo da guerriera!".
"Sergio, sono una larva".
Abbassava le palpebre nei suoi rettangoli di tartaruga. Tesseva la mia terapia con la perizia e la tecnica del ricamo a tombolo. All'inizio di ogni seduta c'era un accenno ai miei capelli o al timbro di voce, al sorriso, ai miei passi, erano i fuselli che muoveva, uno dopo l'altro.
Il disegno del ricamo lo aveva già chiaro nella testa.
Fino al giorno che arrivò dritto al nodo:
"Paola, specchi a casa non ne hai?"
Gli specchi, soprattutto in quel periodo, non li vedevo affatto. In realtà non vedevo nulla, aldilà del dolore spalmato in più strati di cemento, uno sull'altro. C'era la mia sofferenza, quella delle mie figlie, le bugie, l'inganno, le macerie di una vita da rimuovere e null'altro sullo specchio. Eppure dovevo essere molto bella con quella stola di dolore sulle spalle, le occhiaie tatuate, il passo inconsapevole di guerriera e le ossa che si potevano contare.
Sergio indossava camicie a volte logore o macchiate e pantaloni stretti da non riuscire a chiuderli. I capelli arruffati e gli occhi sempre alla ricerca di qualcosa da cogliere. Era agli antipodi del tradizionale canone estetico borghese. Un uomo geniale e mi beavo della sua bellezza estasiante. Amava circondarsi di fiori e il giorno che è morto all'improvviso, sono corsa dal suo fioraio a comprare le rose rosse più belle che ci fossero.
Le ho poggiate ai suoi piedi, Sergio con il suo sguardo sornione ascoltava i miei passi che percorrevano la lunga navata della chiesa e questa volta taceva, solo lui poteva sapere di avere terminato il suo ricamo a tombolo.
Ancora oggi, quando qualcosa mi crea squilibrio ripeto le sue dinamiche, prendo i fuselli in mano a uno a uno e inizio il ricamo.
Non ho fatto in tempo a raccontargli molte cose, per esempio che Antigone è stata la mia eroina sin dai tempi del liceo. Antigone che nel raggiungimento del desiderio diventa incredibilmente bella: a volte la realizzazione dei desideri, seppure estremi, corrisponde con il momento di massima bellezza. Sul precipizio tra la vita e la morte, il fulgore della bellezza irradia Antigone.
Il desiderio di verità, rispetto e dignità metteva in luce la mia bellezza, in bilico tra la morte di un progetto di vita, la voglia di giustizia e il dovere di restare madre.
"L'effetto del bello risulta dal rapporto dell'eroe con il limite", scriveva Lacan a proposito di Antigone.
"Non c’è mai una fine: ci sono sempre nuovi suoni da immaginare, nuovi sentimenti da cogliere. Purificandoli potremmo vedere, allo stato puro, ciò che abbiamo scoperto, cosa siamo. Ma per farlo, e dare a chi ascolta l’essenza, dobbiamo continuamente pulire lo specchio”. John Coltrane.
Quando finalmente ho pulito lo specchio, ho visto la bellezza di quel pizzo a tombolo creato dalla maestria di Sergio.
Tempo possibile e tempo impossibile