Le stagioni non conoscono inviti. Arrivano quando è il momento. Senza preavviso. Con un identico copione valido per tutte le stagioni: quelle della natura e quelle del cuore, che ne è una piccola parte. Le stagioni sono totalitarie e i loro venti soffiano su ogni cosa e tutto mutano secondo uno spartito prevedibile e insieme mutevole le cui note consentono loro di indossare l’abito del mistero. Le stagioni non danno appuntamenti: richiedono adattamenti, cambiamenti, ripensamenti, sterzate forzate al programma dei giorni. Sono loro ad invitare ma più spesso impongono. Sopravvive alla loro danza chi accetta di ballare passi conosciuti solo in parte e chi si lascia andare alla granitica posa abitudinaria per azzardarsi in movimenti inediti e sconosciuti.
Le stagioni recano con sé messaggi di importanza vitale: l’infanzia accarezza i sogni del divenire, l’adolescenza scolpisce fremiti e passioni, la giovinezza disegna i progetti e la vita adulta alterna tutto il precedente nel tentativo di attuare il possibile e di affidare ad un tempo non intravisto e sperato l’impossibile desiderato. E così l’autunno parla di spoliazione e sobrietà, l’inverno di attesa orante e custodia silente, la primavera di germinazioni e rinascite possibili, l’estate di gioie belle e colorate perché condivise.
Vi sono poi le stagioni dell’universo, dell’umanità, le epoche cosmiche, geologiche, climatiche, antropologiche. Anche loro arrivano sempre. Più lentamente. Anche se eventi e fenomeni improvvisi danno un’accelerata imprevista, capace di segnare uno spartiacque nel time lapse della storia. Dinanzi a questi eventi ogni figlio dell’uomo ha due sole possibilità: restare a guardare dalla finestra o danzare. Chi sta fermo è destinato a perire. Solo chi si muove si salva. L’immobilismo è morte, il dinamismo è vita. Entrambe sono scelte umane e mentre la prima è radicata nell’indifferenza, nella non-partecipazione all’evoluzione del mondo, la seconda è frutto della decisione di abitare il paesaggio della vita con la consapevolezza del co-protagonista.
Cosa serve in questo tempo inedito? Cosa ha da dirci il crinale della storia su cui insieme, senza immaginarlo, ci ritroviamo? Cosa ci suggerisce il dramma umano che stiamo affrontando seppur con diverse credenze? Ci dice che siamo parte di un tutto e che nessuno può dirsi indifferente alla storia, al cambiamento, alla mutazione e all’evoluzione. Chi decide di sottrarsi all’empatia verso tutto ciò che ci circonda è morto dentro e ha perso la scommessa per la quale è stato messo al mondo. Ha commesso un peccato di indifferenza che forse è il peggiore tra i crimini: quello di non partecipare alla vita.
Questo tempo pandemico di emergenza antropologica chiede il contributo di tutti e necessita del coraggio di ciascuno. Questo tempo pandemico di emergenza antropologica ha da dirci che troppo spesso come pecore belanti ci siamo lasciati addomesticare da pastori anonimi e mercenari, consegnando le nostre vite a finti benesseri venduti da ambulanti senza volto dietro cui si celano i poteri del mondo, quelli che credono di reggere le sorti dei popoli e degli uomini con il potere del denaro e della menzogna. Questo tempo pandemico di emergenza antropologica ci pone dinanzi al quesito: vuoi immergerti nella profondità della vita o ti accontenti di restare nella superfice delle cose? Questo tempo pandemico di emergenza antropologica ci domanda come non mai se abbiamo ancora un’anima per patire con l’universo, per lottare a fianco dei nostri simili più fragili, che in fondo significa custodire anche la nostra vulnerabilità. Ci chiede se crediamo in qualcosa che vada al di là del visibile e dell’immediato e per cui saremmo disposti a donare la vita. E soprattutto ci domanda un’audacia senza fine per affrontare con creatività la sfida che ci è posta dinanzi: salvare la nostra anima e in essa e con essa l’anima dell’umanità
Tolkien nella sua famosa opera “Il Signore degli anelli” racconta di un dialogo tra due piccoli hobbit incamminati verso una missione difficile e densa di ostacoli da cui dipendeva non solo la loro salvezza personale ma quella di tutti:
Tempo possibile e tempo impossibile