di Luca Caputo
Hai sette anni, sei seduto al buio di una sala cinematografica e sul grande schermo, davanti ai tuoi occhi, Doc Brown - che da quel giorno diventerà il tuo scienziato pazzo preferito - viene ucciso da un gruppo di terroristi con una scarica di mitra.
È uno shock per te.
Per fortuna, prima di morire, il buon vecchio Doc ha realizzato l’invenzione di una vita: una DeLorean attrezzata per viaggiare avanti e indietro nel tempo. E proprio grazie a quest’ultima Marty McFly, il protagonista, dopo una serie di peripezie culminate nel rischio di svanire per gli incastri delle variabili spazio-temporali, riuscirà a tornare indietro nel tempo e salvare Doc, evitando che muoia.
Era uno dei primi film che vedevi e ancora non sapevi che nei film alla fine tutto si aggiusta, tanto più se hai una macchina del tempo a tua disposizione. Ci sarebbe voluto tempo prima di scoprire che nella vita reale non funziona così e non è possibile viaggiare nel tempo per salvare nessuno, nemmeno noi stessi.
Durante la visione e anche dopo, a lungo, sei eccitato: “una macchina del tempo” pensi. “È questa la soluzione di tutti i problemi!”. Perché, in fondo, basterebbe una macchina del tempo per tornare indietro e correggere i nostri errori, impedire, in alcuni casi, addirittura, la morte delle persone che amiamo o, quanto meno, tornare indietro per rivederle, per abbracciarle, o anche solo per salutarle un’ultima volta, potendo sapere in anticipo che sarà tale.
Sono passati più di trentacinque anni da allora: le strade sono piene di gente che sfreccia alla guida di monopattini elettrici con l’aria di chi ha appena conquistato il mondo, ma di macchine in grado viaggiare nel tempo nemmeno l’ombra.
“Eppure ci avranno provato a costruirle” pensi. “Com’è possibile che nessuno ne parli?”.
Ci hai provato persino tu, mettendo insieme pochi elementi rudimentali: un pizzico di fantasia, la possibilità di spostarti nello spazio, una buona memoria.
E così hai pensato che fosse possibile viaggiare nel tempo semplicemente ritornando in determinati luoghi e sforzandoti di rivivere certi momenti, vissuti tanto tempo prima.
Ma il risultato è stato un disastro.
Perché, anche se ce la metti tutta a ricreare certe situazioni che ti hanno emozionato e ti sono rimaste impresse nella memoria, sai che la spensieratezza ormai può solo fare da fugace comparsa, ma non sarà mai più protagonista sul palcoscenico della tua vita, come lo era, anche se con diverse gradazioni, quando avevi tre, sette o dieci anni.
Perché il tempo mette una distanza tra te e il passato che non puoi ignorare e che non puoi colmare.
Perché cresciamo: tante cose finiscono, altre iniziano, alcune ricominciano.
Perché la prima cosa che il tempo cambia sei tu. E, per quanti sforzi tu faccia, quello che siamo stati non possiamo più essere. E, se proprio vuoi provare a viaggiare nel tempo, affidandoti ai ricordi, alla memoria, alla ripetizione di gesti, devi sapere che lo fai a tuo rischio e pericolo: perché la memoria, come i ricordi, sono compagni di viaggio infidi, dei quali non puoi mai fidarti del tutto.
E allora è proprio vero, come ha scritto quel ragazzo così saggio da capire che non c’era speranza, che “non puoi uccidere il tempo col cuore”. E nemmeno fermarlo. Al massimo, facendo un grande sforzo, puoi provare a scalfirlo, a ferirlo. Sperando che, nel tentativo di farlo, non sia lui, a sua volta, a ferire te, lasciandoti solo, a sanguinare.
Tempo possibile e tempo impossibile