“Citius altius fortius” è il motto degli atleti olimpici dal 1894.
Perché da oltre un secolo la velocità è un valore.
Bisogna andare più veloci, reagire più veloci, elaborare pensieri, emozioni e lutti più veloci.
La velocità è il valore.
Non importa cosa tu debba fare. Lo devi fare veloce.
La vita non va vissuta, va rubata a morsi, ed a passo veloce.
Sennò, se non ti affanni non sei bravo, non sei performante, sei una nullità.
E non importa se la velocità mortifichi contenuti, elaborati, risultati richiesti.
L’importante è solo reagire in velocità agli stimoli esterni.
A qualunque costo, compreso quello di evitare qualsiasi analisi di realtà.
A costo di sbagliare tutto e fare danni.
Ma senza gran senso di colpa.
Dovevamo andare veloci.
Eppure.
La velocità, di pensiero, di esecuzione, di reazione fa spesso promesse che tradiscono le attese.
Ci voleva un virus, per noi veloci, a dimostrarlo in modo pacifico ed evidente.
Una forma di vita precellulare, la più semplice tra le viventi.
Tanto più veloci siamo andati quanto più forte abbiamo sbattuto contro la stasi della malattia, della paura, dell’impotenza.
Come delle auto lanciate in corso che si sono schiantate contro un ostacolo imprevisto, spesso distruggendosi.
Ed allora meglio il respiro profondo della dispnea, la meditazione del pensiero istantaneo, la ponderazione dell’ipereattività. Solo così forse avremo una speranza, anzi più d’una: di allinearci con noi stessi, di tessere relazioni durature, di amare con profondità.
Piano piano, diceva la mia nonna, tutto si aggiusta. "Lentius", allora. Se vogliamo provare qualcosa che somigli alla serenità.
“Solitude”