Uno degli effetti collaterali di questa pandemia è senza dubbio la solitudine, quella di chi non ha potuto vedere i propri figli, i genitori, quella dolorosa delle persone malate, sofferenti, che in solitudine sono morte. In un tempo sospeso, la solitudine ed il silenzio sono diventati uno spazio vuoto nel quale si sono moltiplicati il disagio esistenziale, l’insicurezza e la paura. La paura della malattia ma anche del proprio caos interiore, con i suoi contenuti emotivi, fatti di ansie, depressione, preoccupazioni per i propri cari, e razionali, fatti di scelte da compiere, analisi critica del proprio vissuto, del proprio impegno lavorativo, dei compiti da assolvere. La sedia vuota è anche quella del compagno di banco, è nella solitudine della socialità spezzata dei bambini. E’ nella lontananza, nella libertà interrotta di giocare con altri bambini al parco, è nella privazione della loro quotidianità, degli spazi e dei ritmi vitali, degli incontri di gioco. “Vorrei tanto abbracciarti “, dice Leo a Giulia, “ma non posso” e nelle sue parole, la dolcezza di una nostalgia più grande di un bambino di sei anni. Noi genitori cerchiamo di proteggere i nostri figli ma sappiamo bene che per loro non esiste solo il rischio legato al covid-19, perché tenerli in una comfort zone ci rassicura ma li espone ad una forma di “solitudine sociale”, di socialità spezzata innaturale per la loro età e per le loro inclinazioni.
Ma c’è anche un’altra solitudine per il Magistrato che non è quella che Calamandrei indica come <
Tempo possibile e tempo impossibile