di Alberto Garofalo
La ricezione estetica della musica è una delle cose più intime e, al tempo stesso, spirituali che conosca. È del tutto differente dalla ricezione di qualsiasi altra arte. La musica non si comprende, la si pensa con le orecchie, il che ovviamente va completamente al di là dello schema predisposto dal compositore. Una delle rivoluzioni principali del Novecento consiste proprio nell’abbattimento delle dinamiche formali della musica tradizionale, il che ha comportato anche che la musica classica viene recepita per il suo aspetto innovativo.
Quando si studia Bach, non c’è nulla di più utile che ascoltare le differenze tra lo stesso Bach e le regole scolastiche che lo hanno preceduto, di cui evidentemente si faceva beffe, così come è utilissimo ascoltare il modo in cui si è evoluto, nell’età contemporanea, il modo di eseguirlo. Tutta la musica andrebbe ascoltata come musica moderna. Soltanto così si ha modo di superare la parvenza esteriore per cogliere gli aspetti strutturali e le inevitabili digressioni dallo schema classico. Questo approccio mette sullo stesso piano l’ascoltatore appassionato (come me) ed il profondo conoscitore delle discipline teoriche sulla composizione.
Per una forma di autodifesa, ho sempre considerato una sciocchezza che, per comprendere perfettamente la musica, bisogna conoscere le regole del contrappunto, perché anche conoscendole perfettamente si potrebbe poi essere incapaci di sentire veramente una sonata intima come Les collines d’Anacapri di Debussy (il quale ovviamente era il primo che si scagliava contro l’Accademia). Soltanto la sintesi del fenomeno sensibile può far diventare arte la ricezione musicale, così come qualsiasi altra arte del resto. In musica, però, i momenti che chiamiamo sensoriali (“sinnlich”) e quelli spirituali si compenetrano, senza bisogno di parole ("ohne worte" come il titolo della sonata di Felix Mendelssohn).
È come una finestra spalancata sul mare, che proprio a quella vista deve la sua bellezza. La musica è l’unica arte in cui ogni singolo attimo fa richiamo a tutta la nostra capacità sensoriale e spirituale, proprio come quando si guarda il mare. È l’unica arte capace di renderci questa stessa sensazione interiore. Esistono composizioni musicali che offrono in maniera mirabile questa sinestesia. Anche in questo il Novecento offre esempi straordinari (e lo fa in particolare con i compositori francesi). È impossibile rimanere indifferenti di fronte alle sonate di Debussy e Satie o ai quartetti di Ravel (così intime e spirituali), così come è impossibile restare indifferenti di fronte alla sconfinata libertà che proviamo mirando il mare.
Questi compositori toccano corde profonde, con una facilità sorprendente, con una musica totalmente asimmetrica, senza progressioni regolari, proprio come le onde del mare (non a caso le composizioni di Debussy hanno titoli quali “la mer”, “Jeux de vagues”, etc.). In questo periodo storico ed alle nostre latitudini si dà per scontato di aver visto il mare sin da bambini, ma la storia è piena di esempi di personaggi fondamentali che lo hanno visto soltanto da grandi (l’esempio più famoso è Rimbaud, che scrisse “Il battello ebbro” quando ancora non lo aveva mai visto).
È evidente che il mare, nella sua enormità e nel suo significato di libertà, quasi spaventoso, visto ad un’età adulta è qualcosa di sconvolgente (Murat lo vide per la prima volta a 23 anni, restandone stravolto). Per noi qui a Napoli e dintorni è qualcosa di acquisito sin dall’infanzia, eppure ogni volta associamo la vista del mare con qualcosa di eccezionale, uno spettacolo cui non ci si può sottrarre, cui si può assistere per ore senza mai annoiarsi, perché ogni attimo assume un suo significato differente. Per me, la musica significa esattamente questo, un collegamento ad una sensibilità spirituale, intima, che precede la civiltà, simile a quella che provo quando, per ore, ammiro il mare
Tempo possibile e tempo impossibile