di Eduardo Savarese
Qualche giorno fa sono andato a Capri col gommone di un amico. Non ci andavo, via mare con un'imbarcazione privata, da molti, molti anni. Siamo partiti dal molo di Torre Annunziata e abbiamo percorso velocemente la costiera sorrentina fino a Massa Lubrense. La giornata era caldissima, l'afa irretiva i contorni delle cose in una foschia da purgatorio. Al ritorno, l'aria s'è ripulita e ho riconosciuto i pezzi della mia adolescenza e dei primi anni dell'università, quando in costiera trascorrevo quasi tutto il mio tempo: Puolo, Marina Lobra, Meta di Sorrento, Seiano, Lo Scrajo. Il mio tempo è connesso al mare. Fino a poco tempo fa, sottovalutavo l'importanza dell'elemento per uno che porta il cognome Savarese, legato a filo doppio, in costiera, a una storia di navigazione, soprattutto dalla terraferma sotto il Vesuvio alle isole di Capri, Ischia e Procida. Il mare, quando lo fisso, mi restituisce l'inafferabilità del tempo, del senso del tempo, il mio tempo e quello degli altri, delle cose, del mondo. La fascinazione del mare sta in questa sua meravigliosa rappresentazione, viva, presente, immanente, delle trasformazioni dello stare al mondo: trasformazioni senza sosta, quindi faticose. Il mare è incanto e fatica, per me. La libertà del rivolgimento, l'inevitabilità della trasformazione, e la paura, a volte il terrore per un sommovimento indefinito, retto da leggi di correnti infine misteriose e, comunque, certamente incontrollabili.
Mi sono tuffato con un lancio goffo dal gommone (non ho mai imparato il tuffo a pesce: chissà perché mi ha sempre spaventato, preferisco gettarmi come un sacco, in verticale). Ho nuotato, osservando, nel mare calmo delle nove del mattino, il riflesso delle formazioni rocciose di Capri, così aspre, inospitali, pini alteri, abitati da cicale remotissime. Nuotando a lungo, immerso in acque verdi e blu, mi sono venute idee. Il mare mi mette in movimento. Mi stimola ad avere fiducia nella bontà delle mie povere idee. Nuotavo e venivo attraversato da folte schiere di pensieri disordinati. Mi sono sentito, ancora una volta, vivo, e affaticatissimo per l'intensità del sentirmi così tanto vivo.
Tempo possibile e tempo impossibile