di Ivo Flavio Abela
«È vero, principe, che lei una volta ha detto che la bellezza salverà il mondo? State a sentire, signori […] il principe sostiene che la bellezza salverà il mondo!»: così dice il tisico Ippolìt del principe Myškin ne
L’idiota di Fëdor Dostoevskij. Più avanti sarà la capricciosa e
borderline Aglaja a dire a Myškin: «Sono pronta a scommettere che si metterà a parlare di qualcosa sul genere della pena di morte, o della situazione economica della Russia, oppure del fatto che la bellezza salverà il mondo». L’affermazione è diventata famosa tanto da essere attribuita, soprattutto da chi non ha mai letto integralmente il romanzo, allo stesso scrittore: «Dostoevskij diceva che la bellezza salverà il mondo». Tali parole sono però solo attribuite al protagonista da Fëdor: non si comprende nemmeno se Myškin le abbia davvero mai pronunciate (il principe non lo conferma).
Consideriamo poi il finale del romanzo: Myškin diventerà pazzo, recuperando lo stato connaturato – così sembra indicarci Dostoevskij – alla sua indole di individuo generoso, mite, genuino («idiota» – appunto – secondo il pensiero comune) e dal quale era invece guarito. La bellezza non l’ha salvato: non solo essa non ha trionfato, ma proprio colui il cui animo è bello altro non si rivela che un folle. Sembra che Dostoevskij si sia divertito a delineare un intreccio e un personaggio dai quali sarebbe dovuto scaturire il segreto della felicità sulla terra (paragonabile alla formula anch’essa segreta, relativa alla pace eterna e alla sconfitta definitiva del male, incisa su una fantomatica verga da Nikolaj, fratello di Lev Tolstoj, e poi sepolta nel luogo in cui sarebbe stata interrata la bara dello scrittore), ma alla fine ci riporta con forza alla realtà e sembra volerci dire: «Davvero avreste pensato che la bontà e la mitezza possano trionfare? Il buono, il mite, il virtuoso… sono solo pazzi».
Un altro personaggio – appartenente all’universo cinematografico russo – ci insegna che la bellezza non può salvarci: il protagonista di Stalker, film diretto nel 1979 da Andrej Tarkovskij. Attraverso la zona, egli vuole condurre i suoi compagni di avventura nella stanza. I compagni accettano inizialmente di affidarsi a lui e di seguirlo, ma si fanno assalire dai dubbi proprio quando la meta è vicina. Il dolore del fallimento lacera Stalker: egli – lo dice all’apice dello sconforto quando il film si avvia alla conclusione – avrebbe solo voluto che tutti fossero felici, condividendo con l’umanità i tesori spirituali contenuti nella stanza stessa. Stalker è del resto un doppio dello stesso Tarkovskij: così ha affermato più volte Andrej Tarkovskij Jr., il figlio del regista (lo ha fatto anche in un’intervista concessami nel marzo 2020). In altri termini Stalker e lo stesso Tarkovskij sono personaggi alla Dostoevskij: hanno nutrito una fede cieca nei confronti di ideali spirituali e della possibilità di conseguire la felicità mediante la bellezza, ma alla fine si schiantano contro il muro della realtà, rimanendo turbati, disillusi, sconfitti, segnati a vita.
Tempo possibile e tempo impossibile