di Antonio Lepre
La bellezza è indefinibile.
E’ il postulato. il punto attraverso cui passano una e infinite rette.
L’uomo è fortunatamente incatenato alla bellezza, quella piccola magia racchiusa nelle mani di Fidia, Michelangelo e altri angeli regalati al mondo perché rammenti l’aspirazione ad abbandonarsi a ciò che piace d’impatto, al solo urto con la perfezione; all’estetica puro dell’ascolto della musica e del suono di parole senza senso ma così belle da ascoltare.
Vedere la passione nel voler scoprire l’universo e penetrarne i segreti, nel combattere sapendo di perdere e poi riprendere a combattere per sentire ancora la vita battere e pulsare e per non rassegnarsi al fatto che tutto sia un’illusione, che l’uomo non sia, come cantava Pindaro, solo il sogno di un’ombra.
La bellezza allora si intreccia con l’eterno, l’utopia assoluta.
I sepolcri di Foscolo e la gloria degli eroi omerici perché la bellezza dei versi, degli avelli e delle gesta li consegni alla memoria eterna dei posteri e dei posteri dei posteri.
La bellezza contro la mondanità della materia e la perversione del dissolvimento maleodorante dei nostri corpi, cessati i quali nulla resterà di noi se non roba vecchia da buttare per sgombrare spazi che reclamano nuovi occupanti.
Senza la bellezza saremmo condannati alla brutale indifferenza della vita quotidiana e all’implacabile iniquità del male che si alterna al bene senza un baricentro se non la casualità. Una girandola impazzita di contraddizioni.
La bellezza allora è il momento della pacificazione e del ritrovarsi con pezzi di noi stessi che avevamo dimenticato e abbandonato.
Tempo possibile e tempo impossibile