di Almerinda Di Benedetto
Avrò avuto poco più di dieci anni quando vidi per la prima volta la
Donna con i capelli rossi di Amedeo Modigliani. Non la tela originale, ma una riproduzione a grandezza naturale su carta patinata, una di quelle che puoi acquistare a poco prezzo e che tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta facevano ‘tanto chic’ se esibite con sapiente buon gusto alle pareti delle case borghesi. Era proprio una di quelle case che mi accoglieva quasi ogni domenica, quando con la famiglia mi apprestavo a consumare il consueto rito del pranzo, assaporando i ritmi lenti e dolcissimi della sospensione del giorno di festa. Di fronte al mare, sulla collina di Posillipo, due occhi nerissimi e un collo smisurato, seduta sull’esile seggiola Thonet, la ritrovavo così ad ogni appuntamento, eterea e incantata, imperfetta e straordinariamente seducente.
Colta da un sottile rapimento sensoriale già elucubravo: c’è un’eleganza misteriosa e sotterranea nell’imperfezione, che può arrivare a sovvertire le nostre ordinarie coordinate del bello. E con sorpreso stupore constatavo quanto piacere mi regalasse questa imperfezione, quanta bellezza riuscisse a trasmettermi quello che mi appariva come uno strepitoso gioco di linee, colori e forme, ‘perfetto’ al punto da provocare in me un formidabile godimento estetico.
Tempo possibile e tempo impossibile