Affastellate in rapida sequenza io vedo scorrere le immagini di “Augustine, Augustine, quid quaeris? Putasne brevi immittere vasculo mare totum?", del Gibraniano “vasto mare, materno e insonne, unica pace e libertà alla corrente e al fiume”, di Ulisse “trascinato dai venti funesti sul mare pescoso” e, pur rispettoso degli Dei, alla ricerca della sua strada, in libertà. E vedo infine, da ultimo ma non per ultimo perché fu amore giovanile, di quelli che rimangono vivi nell’animo, per quanta ragione tenti poi di ridimensionarlo, il grande Corso che dallo scoglio della sperduta isola dell’Atlantico scruta il mare, la vasta, incolmabile, distesa di acqua che un “inestinguibile odio” aveva frapposto fra l’Uomo cui due secoli si eran volti sommessi e la sua libertà.
Tempo possibile e tempo impossibile