Il desiderio di una vita piena e soddisfacente si fa sempre più strada nel dibattito attuale e ciò che un tempo era visto come un lusso oppure un dono oggi non di rado è considerato, invece, un diritto. Si pensi alle vacanze oppure al desiderio di un figlio da parte di chi non può averne oppure alla scelta di quando e come porre fine alla propria esistenza. Questioni enormi che animano il dibattito pubblico; dibattito sempre appassionato, spesso ideologico, quindi polemico e talvolta anche verbalmente violento. Non so cosa sia giusto o cosa non lo sia e lascio ad altri il privilegio della verità.
Confesso, piuttosto, il grave peccato di provare un certo disagio nel constatare l’enorme impiego di energie intellettuali, materiali e mediatiche profuse su questi argomenti, a fronte invece di una crescente indifferenza per le gravissime lacerazioni sociali che oggi segnano la nostra società. Pare proprio che, a furia di occuparci del diritto ad avere diritti, ci si sia dimenticati di quelli fondamentali che consentono alle persone di essere protagonisti attivi e consapevoli della società. Le periferie degradate, le case popolari e le famiglie senza un tetto, l’analfabetismo imperante, le scuole abbandonate e gli insegnanti umiliati sembrano oramai vecchi arnesi concettuali del secolo scorso, roba vecchia da archiviare come noiosa, polverosa, insopportabilmente legata alla dura realtà.
Su questa lunga onda della dimenticanza dell’odierna disperazione sociale, ci si infervora per desideri che oggi vengono, invece, visti come necessità esistenziali, senza però mai chiedersi quale sia il prezzo da pagare per renderle effettive. Domina la grande ipocrisia di far finta che le risorse della società siano infinite e che l’espansione di queste nuove frontiere giuridiche non determini surrettiziamente un ritorno a uno Stato sempre più autoritario.L’aver indotto l’indifferenza nei confronti della povertà e della marginalità sociale ha purtroppo determinato, a livello politico, anche un appannarsi sempre più crescente dell’interesse e volontà di proporre soluzioni a situazioni di degrado umano e collettivo francamente intollerabili per una società che voglia definirsi veramente civile e democratica. E ciò anche per la banale ragione che è molto più agevole legiferare su questi nuovi diritti che non provare ad incidere su bubboni sociali la cui eliminazione presupporrebbe lunghe e radicali riforme tali da determinare fatali attriti con consolidati centri di interesse se non di potere. Di certo, l’indifferenza verso gli emarginati della società non può imputarsi solo ed esclusivamente all’aver reso prevalente l’idea che oggi la vera evoluzione della società passi attraverso soprattutto il riconoscimento di questi nuovi diritti. Ma certo tale idea ha contribuito in modo significativo a ulteriormente obliterare veri e propri drammi sociali, la cui soluzione, invece, rappresenta, a mio avviso, la precondizione per un’effettiva diffusione della libertà morale e materiale.
I deboli, i poveri, il diritto all’istruzione e al bene primario della casa e della salute, lo sviluppo dell’impresa e del lavoro devono tornare ad essere i veri protagonisti del dibattito pubblico: ciò che un tempo era un mero desiderio può e spesso deve diventare un diritto. Ma non tutti i diritti, non tutti i bisogni hanno la medesima importanza: non dimenticarlo mi sembra oggi l’unica, vera questione morale.