Ci sono quelli a cui piace raccontare la storia della musica che eseguono (come Roberto Prosseda e Mario Brunello), e quelli che tacciono su tutto, compreso il titolo del bis (e noi del pubblico all’uscita tutti a dirci “bello il secondo bis! Ma che era?”). L’errore o l’imprevisto offrono all’artista l’estro di dimostrare la sua bravura.
A volte l’imprevisto è una finzione che fa parte del gioco delle parti della seduzione tra l’artista e il pubblico, come un amante che finge di volersi negare per farsi inseguire. L’imprevisto fa parte della rappresentazione e la rende più preziosa perché unica. Ma le rappresentazioni sono tutte sempre uniche! Spesso, prima di andare ad un concerto, amo ascoltarlo nel pomeriggio per cogliere le piccole differenze che ci saranno nella esecuzione in diretta (le mie figlie ovviamente scherzano su questa mia mania, chiedendomi perché mai andassi ad ascoltare di nuovo la stessa cosa, ma ovviamente non è mai la stessa cosa).
Ci sono poi quartetti e trii collaudati, il cui sodalizio dura da decenni, quelli a carattere familiare (come quello di Misha Maisky) e quelli che si rompono per gelosie e storie d’amore interrotte (né più né meno di quanto succede nei gruppi rock). Così, percorrendo emozioni, suoni, rumori di fondo, odore della polvere del palcoscenico, il gioco quasi erotico tra artista e pubblico porta alla fine dello spettacolo e, quindi, alla richiesta del bis. Il pubblico applaude sempre più forte, a volte in maniera ritmata. L’artista si presenta una prima volta sul palco, soltanto per ringraziare, poi un’altra volta, poi finalmente concede il bis (anche due o tre volte se quella sera si sente particolarmente generoso).
Tempo possibile e tempo impossibile